Cosa ci accade, dal punto di vista psico-fisiologico, quando siamo esposti a un evento traumatico?
Il trauma psicologico è un evento che, per le sue caratteristiche, risulta “non integrabile” nel sistema psichico pregresso della persona, minacciando di frammentare la coesione mentale (P. Janet). Il trauma è del tutto soggettivo; un evento traumatico per una persona può non esserlo per un’altra.
In letteratura si possono riscontrare molteplici definizioni di “trauma” e svariate ricerche hanno studiato le sue conseguenze sulla psiche, nonché i meccanismi psico-fisiologici che si ingaggiano davanti a un evento stressante. Il trauma psicologico può essere definito come un evento negativo e minaccioso per la sopravvivenza, che provoca una “frattura” in grado di minare il senso di stabilità, di continuità e sicurezza del soggetto.
I traumi psicologici possono essere categorizzati in due tipologie: traumi di tipo I sviluppati a seguito di un unico evento puntuale di natura antropica o ambientale, che può provocare l’insorgenza di un PSTD e traumi di tipo II ovvero eventi prolungati e ripetuti che di frequente hanno inizio nella prima infanzia e si manifestano all’interno di contesti relazionali.
Il modello evoluzionista, di MacLean del 1962, afferma che il cervello dell’uomo può essere suddiviso, in tre sottocomponenti, al fine di descriverne le funzioni evolutive. Le tre zone rispecchiano la filogenesi dei vertebrati e sono individuate nel cervello rettiliano (tronco dell’encefalo), nel cervello dei mammiferi primitivi (paleo-encefalo) e nel cervello dei mammiferi evoluti (la corteccia). Attualmente la letteratura più moderna sta mettendo in discussione e si sta leggermente discostando da questa visione tripartita e deterministica dell’encefalo umano, ma, nonostante ciò, la concettualizzazione del neuroscienziato risulta essere molto utile nella comprensione dei meccanismi fisiologici che si attivano davanti a un evento traumatico.
Il cervello razionale, evolutivamente più giovane, è sito nella zona corticale dell’encefalo e ne occupa il 30%. Quest’ultimo è la parte dedita all’elaborazione delle azioni, alla comprensione del mondo e al raggiungimento dei propri obbiettivi. Al di sotto si trova il sistema limbico. Il suo sviluppo inizia dopo la nascita e rappresenta la sede dell’elaborazione delle emozioni, il sistema di controllo del pericolo nonché il comandante della nostra rete sociale complessa. Il sistema limbico si modella sull’esperienza soggettiva di ogni essere umano, costruendo una mappa percettiva ed emotiva del mondo. Il cervello è un sistema aperto, che si mescola ad altri cervelli dei propri conspecifici. L’evoluzione ci ha modellati per funzionare in relazione ad altri cervelli ed entrare in stati condivisi dove è presente una miscela di soggettività. Scendendo a ritroso si collocano il tronco dell’encefalo e l’ipotalamo, che controllano i livelli energetici del corpo. Questa zona neuronale è la sede degli istinti primitivi, della risposta attacco-fuga, della riproduzione e delle funzioni corporee autonome.
Il cervello rettiliano e il sistema limbico costituiscono il cervello emotivo, che ha la funzione di tenere sotto controllo il nostro benessere. Il cervello emotivo possiede un’organizzazione biochimica più semplice rispetto alla neocorteccia, definita anche “cervello razionale”, che gli permette di valutare in maniera approssimativa e sulla base di nozioni pre-acquisite gli impulsi in entrata. Quando, sulla base di uno stimolo proveniente dall’ambiente, nel cervello umano si accende il “sistema di allarme”, in maniera del tutto automatica si attiva una risposta di attacco/fuga, a seguito dell’attivazione delle aree più antiche del nostro cervello. Le risposte di attacco/fuga vengono messe in atto senza nessun pensiero o elaborazione cognitiva. Quando il cervello emotivo sovrasta il cervello cosciente, ovvero le aree della corteccia, quest’ultimo si spegne e il corpo si prepara a mettersi in salvo, attraverso diverse strategie di difesa, che possono essere più o meno attive. Prima che il soggetto possa analizzare in maniera cosciente la situazione, le aree più antiche del cervello mandano, velocemente, segnali al nostro corpo, che si attiva per sopravvivere. Se il sistema ortosimpatico ha successo, il soggetto recupera il proprio equilibrio di partenza attraverso l’attivazione del sistema parasimpatico. Se, invece, la risposta fisiologica non va a segno, il cervello continua a secernere il cortisolo. I circuiti cerebrali si attivano inutilmente e in maniera prolungata nel tempo, mandando continui segnali al corpo, anche in presenza di stimoli innocui.
Il pericolo fa parte della vita di ogni essere vivente. Il cervello è responsabile della sua rilevazione e della risposta corporea, al fine di garantire la sopravvivenza.
Nel nostro cervello sono presenti due vie: una “breve” che riguarda il percorso verso l’amigdala e una via “lunga” che conduce alla corteccia prefrontale. L’amigdala ha una funzione peculiare nel nostro cervello poiché è responsabile della discriminazione delle informazioni in entrata. Quest’ultima ne stabilisce la salienza individuandone l’importanza per la nostra sopravvivenza. Quando l’amigdala riconosce un segnale in arrivo, come minaccioso, manda un messaggio istantaneo all’ippocampo e al tronco dell’encefalo, che stimolano le ghiandole surrenali a produrre cortisolo e adrenalina, attivando il sistema nervoso autonomo al fine di ottenere una risposta nel corpo. L’amigdala elabora le informazioni prima che quest’ultime arrivino ai lobi frontali garantendo un’elaborazione del pericolo ancora prima della sua lavorazione consapevole.
In situazioni di “normalità” l’amigdala funziona correttamente ed è in grado di discriminare gli stimoli in entrata. Nel caso in cui il soggetto abbia subito uno o più traumi, vi possono essere delle alterazioni del funzionamento dell’amigdala che interpreta in maniera pericolosa segnali innocui. Il cortisolo, infatti, aumenta le ramificazioni, la reattività e la connettività dell’amigdala, che nei soggetti pluri-traumatizzati viene definita “amigdala ipertrofica”.
L’amigdala non è l’unica zona sottocorticale che viene stimolata durante un evento stressante. L’ippocampo, davanti a un significativo quantitativo di ormone dello stress, sospende l’integrazione della memoria, a causa dello spostamento dell’attenzione, che viene “distratta” dall’evento traumatico. Questo spostamento inconsapevole genera memorie implicite.